di Giorgio Caporale
La nostra storia inizia nel 1943, quando mio padre Riccardo Caporale con un altro socio, Orfeo Cenciarelli, dopo i primi esperimenti, aprono la fabbrica di bambole che aveva come logo la scritta “Roma” con sotto una stella, in Via Labicana 29, nel centro di Roma, poi dopo 3/4 anni, con l’arrivo di un terzo socio, Adriano fratello di Orfeo, aprono una seconda sede in Via Magnanapoli 9, sempre al centro di Roma, e continuano a sviluppare ed adeguare ai tempi, la fabbricazione delle bambole, associata alla riparazione, fino a quasi tutti gli anni ’60.
Nel 1958/59, la prima sede viene trasferita in Via Labicana 87, luogo mitico che per tanti anni è stato il punto di riferimento di tutte le bambine e le mamme di Roma e non solo, ma anche di tutte le persone che hanno usufruito, delle diverse lavorazioni che vi si svolgevano.
Intanto nel 1972, in Via Tuscolana 448, veniva da me aperta l’attuale sede.
Nel 1987 mio padre con i soci ormai molto anziani, cedevano la licenza di vendita di souvenir e la conduzione del negozio di Via Magnanapoli, continuando nell’altra sede di Via Labicana a riparare anche quelle bambole che venivano portate dai clienti ai nuovi conduttori di Via Magnanapoli, che non erano del mestiere.
Il 1990 è l’anno della chiusura definitiva di Via Labicana.
Ma essendo un uomo che non poteva stare lontano dal lavoro, mio padre ha continuato insieme a me a lavorare fino al 2002, quando aveva ormai 92 anni.
Ricordo di avere respirato l’aria della fabbrica e del laboratorio sin da quando avevo 4 anni e nel periodo delle vacanze scolastiche, estive o natalizie, mi piaceva stare là ed apprenderne i segreti. Poi dal 1967 fino al 1971 mi sono dedicato continuativamente a lavorare con papà e soci, in entrambe le sedi, fino a che nel 1972 ho aperto questo laboratorio, dove continuo a svolgere il tradizionale mestiere della “riparazione delle bambole” .
PAPÀ AL LAVORO NEGLI ANNI ’50
IO AL LAVORO
LA MITICA SIGNORA GIANNA, NEGLI ANNI ’60
Il Signore delle Bambole
di Marina Caporale
dedicato a nostro padre Riccardo Caporale
Il negozio delle bambole che si trovava all’angolo di Via Labicana con via di S. Clemente suscita ancora, nei ricordi di chi lo ha frequentato, una grossa emozione.
Era diviso in due ambienti. Davanti c’era la vetrina dove erano esposte le diverse damine color rosa, azzurro, rosso, il marinaretto, le giapponesine con il kimono, la contadinella e il paggetto.
Tutte queste diversità convivevano pacificamente e l’aria beata, che trapelava dai loro sguardi, sembrava la stessa che assumono i bambini quando sono state soddisfatte le loro necessità. L’effetto, anche per l’occhio meno attento, era quello di trovarsi in un posto speciale.
Era il retrobottega però ad accendere la curiosità e la fantasia, perché proprio lì dietro succedeva tutto!
Nel piccolo mondo fatto di testine, gambette, parrucche e scarpine, la creatività, accompagnata al gesto manuale, dava espressione ed anima agli oggetti.
Il rumore della macchina per cucire faceva intuire la presenza di una sarta, immersa in nuvole di tulle, sotto a decine e decine di nastri dai colori più accesi, pendenti come stelle filanti dalle scatole appoggiate sugli scaffali.
Ogni tanto qualcuno arrivava con il disastro nelle mani: la vecchia bambola dal viso di porcellana andato in frantumi per una caduta, una disattenzione. Sarebbe stato possibile il miracolo?
Il miracolo avveniva. Si manifestava attraverso la sapienza e la pazienza di quelle mani che subito si attivavano per la ricostruzione, accostando e incollando i pezzetti, e che riuscivano a restituire all’oggetto non solo le fattezze originali ma anche il valore del ricordo.
Le mani erano quelle dell’uomo che vegliava con il cuore e con la testa sopra quel mondo: il signore delle bambole.
A volte era possibile vederlo dalla strada quando, dietro al finestrone per avere più luce, con un pennello restituiva il vermiglio ad una boccuccia a cuore o dipingeva lo smalto delle dita di una manina. Quelli più sensibili riuscivano anche a scorgere, dietro al muro dei suoi pensieri, qualcosa di più leggiadro come la grazia dell’artista.
L’accesso al retro del negozio era negato ai non addetti ai lavori ma io mi ci dirigevo dritta e spedita, consapevole di suscitare una piccola invidia in quelli che non potevano farlo. Potevo perché avevo la parolina magica: ciao papà!
Spesso, negli ambienti diversi che mi è capitato e mi capita di frequentare nella mia vita, quando il discorso cade sul lavoro di mio padre c’è sempre qualcuno che mi dice di ricordare il negozio, di esserci stato con la madre, la sorella, la fidanzata, la figlia oppure di averlo visto passando tutti i giorni con il tram per andare a scuola o al lavoro. Tutti rammentano il senso di stupore o la gioia che avevano provato nel ritrovare la bambola ammalata finalmente guarita.
Questi racconti mi hanno fatto capire non solo quanto quel negozio fosse un luogo della città riconoscibile e condiviso ma anche di come avesse ancora uno spazio nelle anime di chi lo ricorda, collegandolo a momenti della propria vita.
Delle volte, guardando mio padre assorto nelle sue fantasticherie, ho pensato a quanto bene ha creato nel suo cammino semplicemente manifestando sé stesso attraverso l’amore per il suo lavoro.
Mi ha sempre detto che ero la sua bambola più bella e se lo diceva lui, come facevo a non credergli?